Lettere da Lisbona #3

L’ho scoperto solo il quarto giorno: a colazione ci sono i pancake. Ed io, che fino ad allora mi ero accontentato di un semplice toast al prosciutto, non jo potuto far altro che approfittarne.
Cosí dopo tre pancake, un panino e due bicchieri di spremuta posso finalmente iniziare con l’energia sufficiente anche questa giornata.
Oggi la meta prescelta è il quartiere di Alfama, uno dei più antichi e meglio conservati di Lisbona. Bisognerebbe assolutamente provare cosa significa perdersi in quelle viuzze. Tipo, arrivare nel punto in cui comincia il complicato dedalo di stradine e smettere di usare la mappa o il cellulare per orientarsi.
Io l’ho fatto. La mappa mi è caduta dalla tasca dei jeans camminando, e l’ho persa; il cellulare era senza connessione internet.

Perfetto. Perso.
A questo punto non posso far altro che affidarmi al mio pessimo senso dell’orientamento, sviluppato quanto la vista nelle talpe, oppure seguire quelli che mi sembrano turisti più preparati.
Per un po’ scelgo la seconda ed inizio questo viaggio alla scoperta dei vicoli più caratteristici di Lisbona in compagnia di due signori, marito e moglie, che parlano portoghese.
Solo dopo un po’ mi accorgo che, seppure nella lingua locale, anche loro si chiedono dove diavolo siano finiti. Ok, è il momento di fare da solo.
Salgo, scendo, arrivo fino in fondo a strade senza via d’uscita, torno indietro, contemplo archi e finestre che mi ero lasciato sfuggire.

Dopo un’oretta abbondante in cui non faccio altro che passeggiare dissimulando il mio smarrimento, spacciandolo per un’escursione programmata; dopo aver scambiato numerosi sguardi enigmatici con le vecchiette sedute sugli usci; dopo aver rischiato per un paio di volte di rompermi l’osso del collo su delle scalinate ripide come piste da sci…finalmente sbuco in una piazza.
Non piena di gente. Di più. E non solo persone, ma anche auto, e furgoni, e gazebo, e lenzuola stese per terra con sopra adagiata una quantità e varietà di merci di tutti i tipi. Un enorme mercato in cui il numero degli oggetti esposti fa a gara con quello della varietà umana presente nella piazza.
Ci sono giovani che vengono oggettistica da collezione, dischi e vestiti vintage. Anziani che propongono cimeli della guerra, vecchie collezioni di monete e cartoline. Uomini di mezza età la cui attività spazia dall’antiquariato al vestiario, dal cibo ai libri. E ci sono anche tanti tipi loschi che non la smettono di proporti erba mentre tu ti sei solo avvicinato per chiedere il prezzo di un magnete da attaccare al frigorifero.

Il mercato è davvero fornitissimo e sia l’appassionato di antiquariato che l’antropologo avrebbero mille ragioni per passarci l’intera giornata. Io invece dopo aver comprato i suddetti magneti, posso tranquillamente fuggire da questo sciame ronzante.
Il problema successivo? Tornare alla base. Mi toccherà perdermi di nuovo, per cui assumo la mia già testata espressione da esploratore impavido. Stavolta peró non é cosí male, e riesco a raggiungere in pochi minuti la strada che costeggia il fiume Tejo. Di lí arrivare a Praça do Comercio é un gioco da ragazzi.
Tuttavia, é risaputo che i regali inattesi sono sempre i migliori…quindi eccola lí la rivelazione che completa la mia giornata. Me ne ero colpevolmente dimenticato, ed eccolo lí adesso pararmisi davanti con la sua faccia ed i suoi occhiali enormi.
Josè Saramago mi guarda dalla facciata di un palazzo (Casa dos Bicos, ndr) che uno sguardo frettoloso rischi di ignorare.
La giornata si chiude cosí con un misto tra euforia e rispetto, tra i libri di questo gigante della letteratura e le foto della sua vita privata che mi regalano una dimensione molto più umana di quello che per me é un dio con l’anima fatta d’inchiostro.
Ci passo ore lí dentro, in quell’edificio che la Fondazione Josè Saramago conserva come uno scrigno in cui l’anima dello scrittore aleggia forte e prepotente. Al terzo piano c’è una libreria, mi avvicino agli scaffali e non fatico molto a trovare uno dei miei libri preferiti, uno di quei capolavori che restano ineguagliabili per sempre.
Le pagine che sfoglio velocemente causano uno spostamento d’aria che avverto leggero sulle guance: eccolo, il mio passo preferito.
È un segnale, un invito, un ammonimento, la storia dell’uomo e le risposte alle sue millenarie domande, il tutto concentrato in poche semplici parole.

“Tutto ciò che potrebbe succedere, succederà, è solo questione di tempo, e se non siamo giunti a vederlo finché eravamo da queste parti, sarà stato solo perché non abbiamo vissuto abbastanza.”

(J. Saramago – Le intermittenze della morte)

Torno all’ostello sorridendo, con i sogni che litigano tra loro per farsi spazio nei miei occhi.

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