Domenica pomeriggio.

Effettivamente, a tutti piacciono le parole. Riempirsi la bocca è sport olimpico, parlare troppo un allenamento quotidiano, ferire uno spiacevole ma necessario effetto collaterale. Non sto qui a dire che si debba pensare prima di parlare, che già chiedere di pensare e basta sarebbe chiedere troppo. In alcuni casi, che dico, quasi sempre. Ma se la parola non è figlia di un’idea, se è slegata da un pensiero e vaga come una bastarda dentro la nostra bocca, e poi fuori…e chissà dove. Fantastici vestiti fatti di lettere luccicanti, e sotto manichini di plastica, magari crepati, magari maleodoranti. Se la parola non riflette qualcos’altro, è solo un suono vuoto, un’articolazione sonora che Dio solo sa quanto vale, al pari dei versi degli animali. Non do dell’animale a nessuno. Questo sia chiaro, ma di una chiarezza poco meno che assoluta. In verità, vi dico…che i versi degli animali sono pure utili, penso al mio cane che abbaia alla vista di un gatto, o alle famosissime oche del Campidoglio. Ma le oche ci sono ancora oggi, stupido me, solo che non sono più segnale d’allarme, solo click di scatti, autoscatti, autopromozioni, flash accecanti. Il punto è che gli animali sono utili, ma quasi tutte le parole no. Cosa è utile? Io mi ritengo inutile per principio, ma so cosa è utile. Un gesto. I gesti sono utili, sono veri, li tocchi (cioè, il toccare stesso è già un gesto). E ad un gesto ne corrisponde un altro, mentre alle parole spesso no. Le parole costruiscono e accendono; o spengono e radono al suolo. Ardono e poi spariscono, senza macerie, se non un’eco lontana. Si potessero mangiare, i gesti, sarebbe perfetto. O forse moriremmo ancor più di fame? Ancora più di quanto non si muoia a causa delle parole? Il problema della vita è questo, sai sempre cosa è meglio, in ogni momento…ma poi non è per sempre, se un attimo dopo quel meglio diventa peggio di qualcos’altro, o persino la cosa peggiore in assoluto. É per questo che ci fidiamo poco, del giudizio degli altri e del nostro, di riflesso. Se le parole sono vuote, ed i gesti pochi e leggeri, allora resta ben poco. Armatevi di parole, ma ricopritevi di gesti. Emettete suoni e modellateli con le mani. Lanciate richiami ed afferrate ciò che arriva, di rimando. Se invece di pensare che “siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni”, tutti capissero che “siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti gli altri”, il mondo sarebbe certamente un posto migliore.

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