L’abitudine di sognare

Cammino verso casa. É insolitamente silenziosa questa sera la strada in cui abito, le auto sono poche, la gente non gira a piedi a quest’ora, è troppo pericoloso.
Una delle cose che mi piacciono meno di questo paese è proprio questa: non poter girare liberamente all’ora che mi pare, per strada. Facciamo che sono le 22. Facciamo che dopo le 21 è poco raccomandabile camminare soli. Facciamo che abito in un quartiere periferico e se non voglio prendere un taxi, devo tornare a casa adesso.
In realtà è già un po’ tardi, ma è colpa della partita. Sono stato a casa di amici per vedere Brasile-Germania, semifinale della Coppa del Mondo.
C’è uno strano silenzio per strada, anche se poi tanto strano non è. Il risultato della partita ha ammazzato l’entusiasmo, distrutto i sogni. Sento in lontananza scoppi ripetuti, qualcuno ha deciso che una volta comrati, i fuochi artificiali vanno utilizzati.
È stranamente piatta questa notte brasiliana, non è cosa comune in un paese come questo dove la gente si trattiene sulle soglie delle case fino a tardi, per prendere un po’ di fresco, per rilassarsi dopo una giornata di lavoro. Se la tristezza avesse un odore, sarebbe proprio questo: l’aria salmastra del mare sembra essersi fermata sulla riva dell’oceano stanotte e al suo posto c’è qualcos’altro, meno affascinante, un’aria stantia, di luoghi lontani e poco affascinanti.
Mi sento quasi sicuro, però, stasera. Saluto con un gesto della mano il guardiano della stazione di carburante che devo attraversare per tornare a casa. Lui mi risponde, ed io attraverso, ringrazio. “Boa noite”, “Boa noite pra vocè”. Basta, parlare di qualcos’altro sarebbe rigirare il coltello nella ferita. Se ne torna sulla sua sedia, probabilmente penserà a quello a cui stanno pensando quasi tutti i brasiliani adesso.
È stato un incubo, questa è la verità. Non come quelli che poi ti svegli, e svaniscono, e tu tiri un sospiro di sollievo. Non c’è nessuno lì a tirarti un pizzico, è tutto reale, è una tragedia vera. La tivù fa passare una sequenza di immagini relative ai tifosi disperati nello stadio. Poi è la volta dei fiumi di lacrime davanti ai maxischermi nelle piazze del paese. Prendo il telefono dalla tasca (ok, non è sicuro farlo per strada, ma ho dato un’occhiata al tragitto che mi separa da casa mia e non sembrano esserci pericoli) e apro l’applicazione di Facebook: è una lunga sfilza di post ironici sulla squadra, battutine sulla Germania, stati disperati, analisi tecniche e tesi personali su quanto accaduto. É come una grande terapia di gruppo ed ognuno, quando è il suo turno, si alza nella piazza virtuale e dice la sua. Ma la storia è sempre quella, tristezza, lacrime, rabbia.
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Ancora un bagliore nel cielo, ancora un fuoco d’artificio che esplode. Non sono i ricchi che li hanno comprati, so da dove vengono e non sono i quartieri benestanti della città. Non so quanto avranno speso per questi fuochi, fatto sta che dei soldi ce li hanno spesi. Si fa di tutto per sostenere la propria squadra, anche comprare cose che normalmente si considerano superflue, inutili. Esplode, edil rumore forse sveglia qualcuno. Ma quanti stentano ad addormentarsi stasera?
La gente è tornata con i piedi per terra, il sogno è andato, il paese non vincerà una Coppa che ha organizzato facendo tanti sacrifici, lottando strenuamente. Da quando il torneo è iniziato, la gente ha dimenticato i motivi delle proteste anti-mondiali ed ha dato il via alla festa, accogliendo i turisti stranieri come meglio sa fare. Sono le persone più accoglienti che abbia mai conosciuto, questi brasiliani, e fanno di tutto per far capire a chi viene nel paese per la prima volta che se si sanno superare le evidenti difficoltà della vita di tutti i giorni, questo è il posto migliore al mondo in cui vivere, il più felice. Miliardi di reais spesi per organizzare un campionato di calcio e poco altro.
Dall’altra parte una fetta importante della popolazione che ancora annaspa e non soffre la fame perchè i programmi assistenziali del governo sono piuttosto generosi; ospedali pubblici decrepiti e cliniche private che sono quasi inaccessibili per chi non ha un’assicurazione sanitaria; mezzi pubblici datati e malfunzionanti; strade dissestate e pericolose; poliziotti corrotti e gran parte della città che definire insicura è un eufemismo; sistema educativo ancorato a livelli poco soddisfacenti; lavoro in abbondanza, ma poco qualificato, e sottopagato; infrastrutture vecchie e poco utili, alcune nuove ma ancora incomplete. È l’immagine di un paese che sperava di festeggiare, segretamente infelice, ma ufficialmente gioioso.
L’immagine di David Luiz che esce dal campo chiedendo a ripetizione “scusa” ai tifosi sugli spalti è emblematica. La sua intervista post-partita assume toni drammatici: “Chiedo scusa al popolo brasiliano, non si meritava questo. Volevo che i brasiliani fossero felici, almeno per una cosa.”
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Almeno per una cosa. Non era il popolo più felice al mondo? Quello che abitava in una terra fantastica, benedetta dalla natura, con il mare più bello, le foreste più belle, le donne più belle, tutte le risorse possibili ed immaginabili? Lo è. Lo è ancora.
Eppure la gente piange, e chi non piange è perchè non sa come esprimere il suo stato d’animo di fronte ad una tale disfatta. Piange perchè sentiva questa Coppa già sua, era una grande festa in cui il festeggiato aspetta solo il momento della torta per essere acclamato da tutti. Ma stavolta non ci sarà nemmeno una candelina da spegnere, niente torta, la festa finisce qui. Oppure no?
Il problema è che questa festa il paese l’ha organizzata lui, in casa, e nessuno andrà via finchè non sarà veramente finita, finche tutti non decideranno che è abbastanza, e si può tornare a casa. Il paese ha speso montagne di soldi ed energie per preparare tutto, e però i regali andranno via con qualcun altro.
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Torna alla realtà il popolo brasiliano. “Lunedì mi tocca pure andare a lavorare” mi sussurra una mia amica quando ancora il risultato è sul 6-0 per i tedeschi. In caso di vittoria mondiale, tutti i lavoratori avrebbero avuto una giornata libera, per riprendersi dai festeggiamenti in grande stile. Ma niente. Torna alla realtà questa gente; alla realtà ed ai problemi di cui quest’ultima è strapiena. In lontananza scorgo un ragazzo che viene nella mia direzione. Rimetto il cellulare in tasca. Poco dopo lo sposto ancora, in un posto ancora più sicuro, meno visibile. Gli ultimi metri che mi separano dal cancello sono un campo minato: pozzanghere ovunque, mi tocca saltellare per evitarle. Ah se mi vedeste, sarebbe una scena divertente, ve lo assicuro. Qualcuno in realtà mi sta guardando: il ragazzo di prima, si è fermato e mi guarda. Mi sembra che sorrida assistendo allo spettacolo, ma non posso giurarlo. Almeno qualcuno qui sorride.
Entro in casa ed il silenzio è tombale. Non mi resta che andare a letto, è andata pure la voglia di leggere qualche pagina del libro che ho iniziato ieri. Sono davvero dispiaciuto per tutto questo, è una terra che sento mia e non sono immune dai suoi stati d’animo. Cosa sarà quando il trambusto della Coppa sarà passato? Cosa resterà a questa gente di tutto questo? Lasciate stare i luoghi comuni sulla gente che festeggia mentre c’è chi muore di fame. Qui i primi a festeggiare, in caso di vittoria, sarebbero stati i meno abbienti. Perchè essere felici in questo modo non costa nulla, perchè partecipare alla gioia collettiva è una scorciatoia per sentirsi come tutti gli altri. Perchè prendere parte ad un evento del genere sarà la cosa più straordinaria (nella vera accezione di questo termine, cioè “fuori dall’ordinario”) che accadrà nella vita di molte di queste persone. Per questo una sconfitta ha assunto i connotati di una tragedia nazionale. Per questo si respira un’atmosfera diversa, e domani sarà un giorno come tutti gli altri. È questo che pesa di più, che tutto tornerà ad essere come prima. Che non ci sarà un trofeo da alzare, una festa da metter su, un titolo da portare in giro con orgoglio, in tutto il mondo.
Domani sarà un giorno come tutti gli altri, e dopo la finale, quando la Coppa sarà terminata, anche tutto il resto tornerà alla normalità. Milioni di persone continueranno a spaccarsi la schiena in lavori usuranti per sfamare le proprie famiglie, milioni di studenti riprenderanno a studiare sperando in un futuro migliore, milioni di pendolari aspetteranno autobus strapieni sotto pensiline semidistrutte, milioni di pazienti pregheranno di ritrovare la salute in ospedali vecchissimi, milioni di bambini continueranno giocare con un pallone rappezzato nei campi incolti vicino casa. Insomma, tutto come prima. Ma stavolta con nemmeno un sogno all’orizzonte, nemmeno un’occasione di riscatto, così limpida e vicina come era questa dei Mondiali.
Buonanotte mio Brasile, triste e inconsolabile. Tanto lo so che anche domani riuscirai a trovare la forza di sorridere e andare avanti, in qualche modo, come hai fatto fino ad ora.

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