È martedì mattina, l’idea è di andare nell’Estelita a fare alcune foto per un articolo riguardante l’occupazione e rivolgere delle domande ai ragazzi che da circa un mese ormai sono lì. Mi sveglio e organizzo la mia giornata: Estelita – pranzo – partita del Brasile. La giornata è già programmata. Ma come ogni mattina, appena apro gli occhi prendo in mano il cellulare e controllo il mio profilo Facebook: mi ci vogliono alcuni secondi per mettere a fuoco la cosa…non troppi, perchè le immagini parlano da sole e la mia bacheca ne è piena.
Di prima mattina la Polizia Federale fa irruzione nell’accampamento degli occupanti e senza alcun preavviso distrugge tutto quello che trova, smantella le tende, abbatte le costruzioni precarie di questa conunità, trascina via con la forza chi si oppone, calpesta le persone che giacciono per terra e con esse i loro diritti, la loro dignità.
La prova di forza è disarmante, perchè incredibile è la violenza con cui il tutto avviene ed il contesto in cui accade. La vicenda è complicata ma somiglia molto a tante storie italiane degli ultimi sessantanni, storie di soprusi contro i più deboli, di corruzione dilagante e sfacciata, di leggi aggirate e diritti basilari trasformati in carta straccia.
Protagonista è un consorzio di imprese edili, chiamato Novo Recife, che d’accordo con la prefettura della città elabora un progetto di riqualificazione di un area ex-industriale in prossimità del centro, del mare, dei luoghi più frequentati della città. La pubblicità del progetto parla di riqualifizacione di un intero quartiere, di progresso e benessere economico per l’intera città, di un’area che somiglierà tanto, in futuro, ad uno dei futuristici quartieri delle più importanti città europee ed americane. Dodici torri (dodici), migliaia di appartamenti, negozi, uffici, qualche giardinetto. Il consorzio però non fa i conti con una parte della popolazione che ha a cuore quell’area, che non ha intenzione di vedere distrutto un pezzo di storia di Recife né di osservare inerme l’avanzata dei grattacieli che sembra inarrestabile. Per questo l’inizio della demolizione delle strutture pre-esistenti nell’area denominata Cais Estelita scatena una reazione rabbiosa, indignata, che sfocia in un’occupazione del sito nel disperato tentativo di difendere i diritti di una popolazione che è stanca di soprusi di ogni sorta.
Nel giro di un mese l’occupazione fa sempre più proseliti e grazie all’appoggio di importanti personalità locali nel campo dell’arte e della cultura, diventa un veicolo per progetti culturali che colgono lo spirito più genuino di questa ribellione. I social network diventano incubatori e poi rumorosi strumenti di diffusione di un grido che chiede solo il rispetto della legge ed una maggiore considerazione dei problemi della città da parte delle autorità.
Col tempo, e grazie al lavoro degli attivisti, le irregolarità enormi del progetto vengono fuori, così come la corruzione di importanti pezzi dell’apparato pubblico. La città si scopre in mano ai costruttori e il movimento Ocupe Estelita sembra l’ultimo baluardo che prova a difendere il cuore pulsante di Recife dall’aggressione delle fredde logiche economiche. Il dibattito si fa vivace, le mediazioni tra autorità e occupanti si susseguono: viene dapprima revocata l’autorizzazione alla demolizione da parte del consorzio Novo Recife, poi sembrano aprirsi spiragli per la revisione del progetto. Il Movimento ottiene i primi risultati, con una protesta pacifica, ragionata, innovativa per certi tratti. Il sogno di trasformare un freddo e aberrante progetto edilizio in qualcosa di più utile alla città sembra sempre più concreto. E poi…
La polizia irrompe nell’accampamento, senza preavviso, attacca il Movimento di sorpresa, senza dare il tempo a nessuno di trattare, senza concedere nemmeno il tempo di capire cosa accade. Gli occupanti vengono fatti uscire dall’area, in alcuni casi con la forza. Chi si oppone viene portato via dalla polizia: l’ordine è quello di far rientrare il consorzio Novo Recife in possesso dell’area. Per tutta la giornata la città si chiede chi abbia autorizzato l’azione militare, e fuori dall’Estelita la situazione è sempre più tesi, perchè sempre più chiaro è che questa sia avvenuta al di fuori degli elementari principi costituzionali.
Gli occupanti non hanno armi, non hanno intenzione di rispondere con la violenza all’arroganza di un sistema che si incattivisce per preservarsi. Eppure la polizia attacca: gas lacrimogeni, bombe sonore, cariche sui gruppi di manifestanti che pacificamente bloccano gli accessi dell’Estelita ai mezzi delle imprese edilizie, già pronti a riprendere la demolizione. Sarà così fino a sera, ed il bilancio parlerà di cinque persone arrestate e una ventina di feriti.
La rete si scatena, l’indignazione sovrasta il tifo per la partita del Brasile che ha luogo nelle stesse ore, le immagini dei corpi feriti e degli arresti prendono il posto di quelle di Neymar e compagni. La città si scopre improvvisamente più sola.
Quello che colpisce in questa storia è altro da mere ragioni economiche ed ideali. Se il progetto abitativo sia davvero utile ad una città già congestionata o se sia più appropriato uno spazio pubblico in quell’area, è una questione che passa in secondo piano dopo gli ultimi avvenimenti.
La vicenda ha un retrogusto talmente amaro che viene naturale chiedersi fin dove possano spingersi i diritti di un cittadino che protesta per la sua causa.
La violenza, l’accanimento con cui la polizia ha aggredito i manifestanti dell’Estelita mette i brividi e restituisce l’immagine di un mondo in cui il denaro compra qualsiasi cosa, le persone, i diritti, le leggi, la cosa pubblica. La dignità. Mette i brividi pensare che anche una rivendicazione pacifica possa diventare oggetto di queste atrocità. Fa paura perchè in questo modo i cittadini si sentono oppressi, derubati della propria libertà, del diritto di dissentire dal potente di turno. E se la polizia è al servizio dei poteri forti, delle imprese private, se i politici sono conniventi perchè queste imprese finanziano le loro campagne elettorali, se la giustizia sembra lavorare un giorno si ed uno no…allora non c’è ragione che tenga. Non esiste democrazia, non si può nemmeno pensare di discutere, ragionare, capire. Così come non si può capire come si possa inondare di gas lacrimogeno il sogno di centinaia di ragazzi di costruire una città migliore, più attenta alle necessità di tutti.
Il cuore del Movimento Ocupe Estelita è stato trafitto da una mano codarda, ma le sue ragioni continuano a vivere in tutti coloro che hanno ancora la voce per opporsi alle ingiustizie. Recife ha ancora una speranza e i prodotti di un mese di occupazione (mostre, spettacoli e numerosi progetti artistici) saranno il segno indelebile di un tentativo di ribellione, di riscatto. Il primo forse, ma non certo l’ultimo.
Photo Credit: Chico Ludemir, Debora Pontes, Anderson Nascimento